Domenico, il patriarca di Studio Tetti Stalletti fra tradizione e innovazione

Nel passare in rassegna le donne e gli uomini che hanno fornito un contributo determinante all’evoluzione della nostra azienda, non potevamo trascurare una persona che ne rappresenta la storia in carne e ossa: Domenico Stalletti, marito della signora Silvana e padre di Andrea e Diego, ai quali ha lasciato le redini dell’impresa ormai un decennio fa. Scopriamone tutti i segreti insieme con lui…

Buongiorno Domenico, partiamo dalle origini di Studio Tetti Stalletti: fino a quando risaliamo indietro nel tempo?
Se pensiamo che Andrea e Diego rappresentano ormai la quinta generazione, si fa in fretta a capire che parliamo di una storia ultracentenaria, iniziata addirittura con il mio bisnonno: è stato lui, nella prima metà dell’Ottocento, a dare inizio alle attività accoppiate del mulino e della segheria, il nucleo originario delle nostre attività, che allora costituivano un unico centro produttivo. Infatti i contadini e i boscaioli delle nostre zone portavano da lui i tronchi da tagliare in segheria insieme al granoturco da macinare al mulino, ritirando poi entrambi i prodotti finiti. Ma erano altri tempi, le attività sono ormai state completamente rivoluzionate rispetto alle nostre origini. Infatti pochi anni dopo l’azienda è passata alla seconda generazione ed è stata divisa: mio nonno, che portava il mio stesso nome, Stalletti Domenico, ha ritirato la segheria, mentre suo fratello ha continuato a seguire il mulino.

In seguito, con la terza generazione, la segheria è stata ereditata da mio padre. Allora si segavano i tronchi, si mettevano a stagionare e poi si vendevano a metri cubi ai falegnami, che venivano a ritirare il materiale per i loro lavori. Era tutta legna nazionale, dei nostri boschi: legno di faggio, con cui si realizzavano le pipe, di rovere per i pavimenti, di castagno e frassino per realizzare mobili e serramenti ecc.

Quando e come è iniziata la sua avventura in Studio Tetti Stalletti?
Io mi sono diplomato geometra nel 1969 e per alcuni anni ho lavorato in Svizzera: là dovevo disegnare i progetti come i miei capi mi imponevano di fare, io avevo le mie idee… Così alla fine degli anni Settanta ho deciso di prendere in mano l’attività della segheria della nostra famiglia, inizialmente insieme a mio fratello. Dopo due anni, il nostro vecchio capannone era fatiscente e abbiamo contattato un’impresa per rinnovare il tetto, iniziando con una ricostruzione delle tettoie esistenti e poi ampliandoci con un capannone in cemento armato.

Sono quindi stati questi i frangenti che hanno dato una svolta alla vostra attività?
La svolta è arrivata a seguito della richiesta sempre più frequente di legname per la costruzione di tetti in legno, utilizzando legname non più nazionale, ma abete rosso dalla Foresta Nera o dalla Svizzera tedesca. Le imprese portavano sempre più spesso schizzi dei disegni delle coperture, per cui era necessaria la stesura di un disegno manuale, previa misurazione in cantiere, per poter ricavare la lista delle misure necessarie e poi procedere al taglio dell’orditura, con lavorazioni successive di piallatura e sagomatura.

Il successivo passaggio naturale è stato quello di specializzarsi nella successiva posa del materiale, preparato costituendo una prima mano d’opera di carpenteria, sempre con la mia presenza operativa in cantiere.

Quali sono stati gli step successivi nell’evoluzione dell’azienda?
Subito dopo l’avvio della mia attività ho cambiato la macchina segatronchi, che nel 1995 è stata completamente automatizzata. In quegli anni la macchina segatronchi era l’anima della nostra attività, perché dai tronchi si ricavavano travi e travetti e dagli scarti listelli e assito; si preparava un tetto per volta e poi si usciva a posarlo.
Un altro incremento importante per l’attività di carpenteria è stato l’acquisto di uno e più camion, fra cui un’autogrù con braccio fino a 25 metri per la lavorazione in quota.

La rivoluzione è invece arrivata nel 2003, con la fondazione dello Studio Tetti Stalletti, quando, come tutte le segherie sul mercato, anche noi abbiamo dismesso la segatronchi: non era più conveniente far arrivare qui i tronchi interi per segarli, visto che il nuovo processo produttivo prevedeva ormai la lavorazione di barre e di travi: mentre un tempo un autotreno poteva portare solo fino a 25 metri cubi di tronchi interi, ancora da segare, da cui ricavare a sua volta la metà di metri cubi da porre in opera, a partire da quella data lo stesso automezzo poteva trasportare fino a 50 metri cubi di materiale già predisposto per le lavorazioni e già essiccato.

Nel frattempo in azienda si era inserito mio figlio Diego, che stava conseguendo il diploma di geometra e allo stesso tempo mi affiancava nel mio lavoro tradizionale, che andava sempre più crescendo nei numeri: la sua presenza è stata determinante per il primo approccio all’utilizzo del computer e dei programmi AutoCAD per il disegno delle coperture, nonché per il rilievo dell’esistente con l’utilizzo di uno strumento tecnico.

Tutto ciò ha posto le basi per un passaggio cardine dell’attività, con la costruzione di un nuovo capannone staccato dal corpo iniziale per mettere a tetto il Centro Taglio a controllo numerico Hundegger, che è stata la vera innovazione dell’inizio del nuovo millennio.In un decennio l’attività è andata crescendo in numeri di richieste e di lavori effettuati, con a seguire anche un incremento del personale sia in ufficio, sia nelle attività manuali, finché nel 2010 la decisione di Andrea di spendere la propria laurea di ingegnere con conseguente dottorato di ricerca all’interno dell’Azienda di famiglia è stata determinante per affrontare le problematiche relative ai calcoli strutturali e all’organizzazione interna dei metodi di lavoro e di progettazione.
Insieme a Diego ha dunque costituito un valido binomio, che mi ha permesso di cedere il passo alla nuova generazione.

Che differenze ha notato nei passaggi intergenerazionali dell’azienda, da suo padre a lei e poi da lei ai suoi figli?
Io penso che, nel passaggio fra mio papà e la mia generazione, il tipo di lavoro realizzato dalla F.lli Stalletti era totalmente diverso da quello svolto precedentemente; ci accomunava solo l’utilizzo dello stesso materiale: il legno. Mio papà ci osservava, era interessato, ma si trattava di un ambito totalmente sconosciuto per lui, mentre nel passaggio ai miei figli ho assistito a un ampliamento, a un progresso tecnologico evolutivo di una attività similare alla mia, con uno sguardo attento alle richieste del mercato, fino ad arrivare alla realizzazione di fabbricati in legno. 
Io ritengo di essere stato un eccellente artigiano, con difficoltà a delegare, mentre i miei figli hanno un occhio più imprenditoriale.

Che cosa significa per lei come padre vedere che Andrea e Diego continuano la sua attività?
Devo ammettere che se i miei figli avessero fatto una scelta diversa, vendendo la ditta, oggi sarei molto meno coinvolto emotivamente. Per esempio mi rattrista vedere che Andrea, che è ingegnere, debba sprecare tanto tempo e impegno per ottemperare ai vincoli burocratici del nostro lavoro, mentre potrebbe dedicare la sua intelligenza e le sue capacità per attività molto più utili per la produzione aziendale. Ma al di là di queste inevitabili considerazioni, dovute al mio coinvolgimento affettivo, sono molto orgoglioso di come stanno portando avanti l’attività: per me come padre è una gioia sapere che l’azienda è in ottime mani.

Essere ingegnere, del resto, significa avere una visione, una prospettiva diversa a livello imprenditoriale. Lo riconosce?
Ho già detto di come l’ingresso di Andrea sia stato fondamentale. In effetti una volta non era così importante questo aspetto: ai miei tempi bastavano le mie conoscenze e le mie capacità per andare avanti. È pur vero, però, che la visione è sempre stata comunque fondamentale: come io ho avuto la capacità di comprendere che era giunto il momento di passare dalla segheria alla carpenteria, ora riconosco che per la nostra attività il futuro si concretizza nel passare da un lavoro artigianale a un livello più articolato e organizzato, per rispondere alle esigenze del mercato, forti del retaggio del passato grazie alla consapevolezza di saper far bene il nostro lavoro.
D’altro canto si va sempre di più nella direzione delle costruzioni residenziali in legno. E qui le competenze di Andrea sono strategiche.

A questo proposito, come vede le attività di Stalletti tra 10 o 20 anni? Con quali innovazioni per il futuro delle case?
Ci saranno senz’altro grandi novità, ma un dato di fatto è che ci sarà sempre una richiesta di tetti vecchi da rifare. Quello che so per certo è che noi sappiamo fare bene i tetti. E se uno sa far bene il proprio mestiere, avrà sempre lavoro in abbondanza. La nostra sicurezza si basa sulla credibilità delle nostre attività e sull’ottima considerazione di cui godiamo presso i clienti. Dunque, al di là di inevitabili rivoluzioni produttive, che al momento non riesco nemmeno a immaginare, penso che anche tra 10 o 20 anni Studio Tetti Stalletti sarà sempre all’avanguardia.

Un’ultima domanda: che cosa prevede per la sesta generazione della famiglia Stalletti?
Vedo che è formata da sole donne: personalmente per me questo non è affatto una preoccupazione. Ho grande stima per la componente femminile che attualmente lavora in azienda, che ci sta dando tante soddisfazioni, per cui sono convinto che un domani le nostre nipoti, se lo vorranno, potranno prendere la guida di Studio Tetti Stalletti e sapranno portarla avanti ottimamente, con la determinazione e le grandi capacità che solo le donne sanno mettere in campo.